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«Contro i femminicidi rieduchiamo i sentimenti di vittime e carnefici»

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CAT_IMG Posted on 25/11/2014, 11:23     +1   -1

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«Contro i femminicidi rieduchiamo i sentimenti di vittime e carnefici»

L'avvocato, autrice del libro allegato al Giornale nella Giornata mondiale: «Molti uomini hanno un distorto senso del possesso. È un tarlo»
Manila Alfano - Dom, 23/11/2014 - 07:00
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L'appuntamento è fissato per martedì prossimo: il 25 novembre è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. C'è chi dice che non servono leggi, che vanno bene quelle che ci sono, e che bisogna invece cambiare le teste per interrompere questa lunga scia di morte.

«Quella dei carnefici ma anche quella delle vittime, perché insieme spesso si tengono la mano mentre cadono nel baratro», spiega l'avvocato Daniela Missaglia, matrimonialista e cassazionista. Ci saranno eventi in tutta Italia, a Milano il 24 partirà una campagna «Non sei da sola» per dire che la rete c'è, ci sono i centri di ascolto, i centri antiviolenza. Una donna uccisa ogni due giorni dicono le ultime stime, e sette su dieci trovano la morte tra le braccia dei propri «cari». Il marito o il compagno, il fidanzato ma anche il figlio. Sì perché tra i risvolti più inquietanti è che tra le vittime ci sono anche tantissime madri. «Ci vuole una rieducazione sentimentale per cambiare le teste. Dobbiamo proprio farlo se non vogliamo che ancora più donne cadano nel baratro». L'avvocato Missaglia, di casi ne vede tanti. Troppi. Donne maltrattate, ferite, abusate che arrivano da lei per mettere fine al loro martirio. Ha scritto un libro dal titolo forte: La chimica della violenza. Perché gli uomini odiano le donne (in edicola con Il Giornale da martedì 25 novembre a 5,90 euro più il prezzo del quotidiano). Un libro che indaga sulla violenza verso le donne, all'interno delle mura domestiche e in contesti familiari anche in assenza di conflitti coniugali. Una raccolta di racconti che descrivono la violenza in casa, sul lavoro, in pubblico e anche on line.

Perché tanti uomini odiano le donne?

«Per un distorto senso del possesso, un vero e proprio tarlo. La gelosia è tra i moventi principali».

Perché in questi anni sono aumentate le vittime?

«Si denuncia di più, le donne hanno meno vergogna a parlare, a far cadere il velo dell'immagine perfetta della famiglia in stile “Mulino bianco”. C'è vergogna nel raccontare, nell'ammettere di avere un compagno accanto che ti maltratta, che non è esattamente l'uomo dei sogni. Culturalmente c'è stato negli ultimi anni un miglioramento. Una maggior sensibilizzazione che ha portato appunto a denunciare» .

Il femminicidio è un fenomeno “moderno” o è sempre esistito?

«Io credo proprio che non ci sia niente di nuovo purtroppo. Semplicemente prima non se ne parlava. La donna subiva in silenzio. Considerava quasi normale, di ordinaria amministrazione i maltrattamenti subiti, inflitti dal padre, dal fratello o dal marito».

Oggi c'è un incremento di casi al Sud. Come mai?

«È l'effetto di quello che le dicevo: della consapevolezza maggiore delle vittime, del fatto che hanno meno paura a denunciare. E poi certo, l'emancipazione della donna ha scatenato la reazione malata di certi uomini che non riescono ad avere un rapporto paritario».

Gli psichiatri ora dicono basta cavarsela con l'espressione «raptus».

«Assolutamente sì. Per provare a spiegare abusi, aggressioni e gesti efferati ci si è spesso rifugiati in questi termini. Hanno ragione gli psichiatri, non tutti i violenti sono dei malati, purtroppo ci sono anche persone cattive non malate, che perseguono con convinzione il male e lo attuano».

Quanto incide essere nati in una famiglia violenta?

«La violenza è una spirale che si autoalimenta, i figli di donne vittime di violenza sono 6 volte più a rischio di sviluppare a loro volta comportamenti aggressivi. Entra in gioco un meccanismo di “coping”, una reazione di adattamento che anestetizza l'orrore e lo perpetua. In questi anni sono aumentati i matricidi, figli che uccidono le proprie madri. L'amore purtoppo non conta. Sono persone incapaci di contenere le loro emozioni, di gestirle».

Quanto ha influito la crisi sui matricidi?

«Sicuramente tra le cause scatenanti c'è la difficoltà economica, la necessità di vivere sotto lo stesso tetto, la frustrazione».

Qual è la cosa più difficile per la donna che denuncia?

«Ammettere che non era amore. Il ciclo della violenza non è continuo, va a picchi. Un uomo violento che perde la testa è quello che un attimo dopo è in ginocchio a piangere da lei. Occorre prima di tutto che le vittime capiscano di essere tali. Spesso per loro è un fatto naturale. Che tenderanno sempre a giustificare».

Cosa ci vuole per non confondersi?

«Persone che possono aiutarti a capire, a distinguere. Ho aiutato diverse donne in situazioni davvero difficili, con il marito che le minacciava giorno e notte: “Ti metto i fili elettrici nel naso”, oppure “ti mando una coppia di romeni che ti danno una bella lezione”. In quei casi bisogna stare molto attenti anche a consigliare perché non si scherza. Bisogna subito attivare gli ordini di protezione, denunciare e farle fare i bagagli; metterla al sicuro da parenti prima della notifica di un atto dove il marito legge le accuse. È quello il momento in cui il violento ha una reazione ancora più esplosiva. È importante che le donne siano lontane in quella fase».

È una legge che funziona questa fatta da Alfano?

«La legge che ha riconosciuto il femminicidio è passata per step altrettanto importanti. Nel 2009 gli atti persecutori hanno acceso i riflettori sul tema. Un passo importantissimo».

Ha un'età il femminicidio?

«Non ha età. Purtroppo le donne possono essere vittime bambine o adulte».

Su RaiTre è iniziata la sua nuova collaborazione al programma Questioni di famiglia . Com'è l'esperienza televisiva?

«Uno strumento per parlare ancora una volta di temi familiari. L'ultima volta si è trattato il caso del bullismo. Il ragazzino che non si è confidato, che non ha trovato sponda si è suicidato. Io sono qui per dire che la rete sociale è determinante a salvare vite fragili»


 
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